Settimana corta. Un nuovo modello per il futuro? Lo pensano o almeno così credono alcune azienda italiane che, su un programma di lavoro settimanale basato solo su quattro giorni lavorativi settimanali, intravedono in questa nuova sperimentazione una modalità per essere più produttivi. Si tratta di una idea già messa in atto in molti paesi come Spagna, Nuova Zelanda, Giappone. L’obiettivo è capire se passare meno tempo in ufficio equivale a essere più produttivi. E ora ci provano appunto anche le prime aziende anche in Italia.
Di cosa si tratta?
Dopo lo smart working, anche la settimana corta di lavoro è vista come un modo per rilanciare il tema dell’equilibrio tra attività lavorativa e vita privata. In Belgio, il premier Alexander De Croo vorrebbe riformare il mercato del lavoro e proporla senza toccare il salario. L’idea sarebbe quella di lavorare 9 ore al giorno anziché 8 e avere quindi un giorno libero in più. Si tratta di una proposta su base volontaria per ridurre lo stress dei dipendenti e dare una spinta alla riduzione del pendolarismo. E non non è l’unico caso.
In Spagna, l’azienda Desigual ha approvato la settimana di lavoro breve ma anche una riduzione dei salari del 6,5% per migliorare la vita e la produttività dei lavoratori e ridurre l’inquinamento. Durante le ore libere, i dipendenti possono seguire corsi di aggiornamento sulle nuove tecnologie. E casi simili si sono già stati applicati anche in Giappone, dove Microsoft ha sperimentato la settimana a 32 ore con la produttività salita al 40%.
In Italia, solo per fare un esempio, la vicentina Fitt, gruppo leader nella produzione e nello sviluppo di soluzioni ad alto contenuto innovativo per il passaggio di fluidi a uso domestico, professionale e industriale, ha scelto invece la “promozione” dello smart working a tempo indeterminato. Una modalità di lavoro, quella agile, che in azienda era infatti già stata avviata nel 2018, prima che il Covid rendesse lo strumento una necessità.
Ma quali potrebbero essere reali vantaggi e svantaggi?
Risponde Matteo Zappa, esperto in materia contrattualistica, diritto sindacale e del lavoro, di Studio Commercialisti Associati Fiammarelli & Partners. “Mi sembra che le sperimentazioni italiane in atto riguardino solo società del terziario avanzato che già da anni utilizzano smart working e altri sistemi di flessibilità contrattuale. L’argomento è certamente interessante ma rischia, secondo me, di essere troppo di nicchia”, spiega Matteo Zappa. “Con professionalità alte legate al raggiungimento di obiettivi specifici è certamente più ‘facile’ impostare un discorso di settimana breve e gestione autonoma del tempo, nel classico contesto manifatturiero la vedo un po’ più complessa. La situazione attuale sia in termini normativi che contrattuali non ha ancora gli strumenti idonei per gestire una modifica del genere negli assetti produttivi. Anche i CCNL più evoluti (terziario e commercio) prevedono forme di riduzione strutturale dell’orario di lavoro che arrivano al massimo a 38 ore/settimana, ben lontani dal traguardo delle 32 ore”.
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