Lo scopo è chiaro: la possibilità per i privati di investire nelle aziende italiane. Ma con nuovi strumenti: Pir, Eltif, bond societari, crowdfunding. Possibilità insomma per chi vuole puntare i propri risparmi sulla crescita dell’economia reale.

Molti elementi sembrano andare in quella direzione: la voglia di riscatto dopo la ferita della pandemia, la mole degli investimenti finanziati dal Next generation Ue (canalizzati nel Pnrr) e infine, la ricchezza finanziaria che giace, quasi inerte, sui conti correnti privati degli italiani. Una cifra davvero non da poco. Solo considerando i risparmi delle famiglie, sono oltre 1.500 miliardi di conti correnti e altri depositi alla fine del primo trimestre del 2021. Una cifra che ha visto un’accelerazione molto forte durante il periodo della pandemia, tanto che dal 2019 ad oggi è cresciuta di 200 miliardi.

Così ecco, per dimensioni e caratteristiche di adesione, nuovi strumenti pensati anche per il retail.

E’ un ventaglio di strumenti a disposizione del risparmiatore individuale che si sta sempre più allargando, mentre fino a poco tempo fa l’alternativa era limitata quasi solo ai fondi comuni specializzati in Pmi. Certo, ci sono rischi e opportunità che vanno attentamente vagliati, ma che rispetto al passato avvicinano anche i “piccoli risparmiatori” ai canali un tempo disponibili solo per i grandi portafogli.

“È in corso un processo di democratizzazione della finanza che riguarda interi comparti tradizionalmente monopolio degli operatori specializzati”, ha spiegato Giancarlo Giudici, docente di Corporate finance al Politecnico di Milano. “Ora la tendenza è quella di aprire un canale per la raccolta diretta di capitali anche per i piccoli risparmiatori. Con le dovute cautele. Perché è importante che questi abbiano consapevolezza dei rischi cui vanno incontro e tengano presente che gli investimenti nell’economia reale devono rappresentare una parte minoritaria del proprio portafoglio, restando indicativamente sotto la soglia massima del 10%”.

I Pir tradizionali

Dopo aver dato un grosso aiuto in termini di risorse per le società di gestione, sono successivamente caduti nell’oblio a causa delle riforme legislative sui vincoli di investimento. Ma ora hanno ripreso vigore, nella nuova versione legislativa. I punti di forza sono noti e ormai sperimentati:

  • possibilità di investire anche piccole cifre, ma con un tetto complessivo non banale, 150 mila euro in cinque anni),
  • vantaggi fiscali, visto che non si pagano capital gain, se si conserva il Pir (in genere un fondo comune) almeno per un lustro. Offrono il vantaggio di dedicare almeno il 70% del portafoglio a società italiane quotate e non e almeno il 21% a titoli non presenti nel Ftse Mib: insomma, semplificando un po’, il regno delle Pmi (in larghissima parte quotate). 

I Pir alternativi

Hanno avuto una partenza lenta. Sono prodotti sofisticati e complessi, illiquidi e con un orizzonte (praticamente vincolante) di investimento che varia, tra gli 8 e 12 anni. Hanno robusti vantaggi fiscali (oltre a non pagare il capital gain hanno anche un credito d’imposta in caso di perdite. Si devono investire fino al 70% del portafoglio in società italiane non quotate (o comunque quotate solo all’Aim) e possono rivolgersi al mondo del private equity e del private debt (quindi azioni ma anche debito delle società) e sono quanto più si avvicina all’investimento in un private equity (al di fuori delle portata dei piccoli risparmiatori).

I Pir alternativi sono sovente costituiti da Eltif, cioè fondi chiusi disciplinati a livello europeo. In alcuni casi hanno soglie minime di sottoscrizione molto “popolari”, anche 10 mila euro, ma attenzione: in genere la vendita viene consigliata fino a un massimo del 10% della ricchezza in titoli del cliente. Quindi, investire 10 mila euro significa avere altri fondi, Btp, conti correnti e altro per almeno 100 mila euro. E bisogna tener presente che non possono essere venduti prima della scadenza indicata nel prospetto.

Le obbligazioni

Esistono i titoli di Stato e ci sono le obbligazioni societarie. Per il privato può essere difficile selezionare quelle più solide e sicure. E’ necessario prima valutare l’affidabilità della società ma ci sono fondi specializzati nel settore. Il Mef però ha adottato una formula che va nella direzione dell’investimento nell’economia reale. Ogni emissione infatti fa riferimento a un programma (o a impegni di spesa) già presi dal Governo. Si è partiti quindi con le spese sanitarie legate alla pandemia e alla campagna vaccinazioni, mentre l’ultimo titolo in emissione finanzia invece le spese previste dal decreto su “Misure urgenti connesse all’emergenza da Covid 19, per le imprese, il lavoro, i giovani, la salute e i servizi territoriali”. Non c’è una rendicontazione puntuale e un singolo progetto, come con i bond green (che però non sono aperti al retail) ma un impegno utilizzare i fondi secondo quanto previsto dal decreto che si richiama.

Il crowdfunding

Si tratta dello strumento per ora forse più contenuto. È infatti la frontiera più avanzata della democrazia finanziaria, il canale più utilizzato da start up e Pmi innovative (e in questi casi ci sono anche detrazioni fiscali per gli investitori) ma necessita di una cultura finanziaria adeguata e dimestichezza con Internet. Sui portali di crowdfunding (che devono essere autorizzati dalla Consob e iscritti in un apposito registro) possono essere collocati anche minibond, ma in questo caso la raccolta non può riguardare i privati.

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